mercoledì 27 maggio 2009

Saturno ed i suoi anelli, mia madre e le mie scelte


Ho trentasei anni e quando, appena diplomata, mi chiedevano come mai avessi deciso di iscrivermi al corso di laurea in Astronomia, ho sempre risposto che in considerazione del fatto che ‘da grande’ avrei voluto insegnare fisica, mi sarei potuta concedere questa stramberia. “Tanto – spiegavo a tutti – ai fini dell’insegnamento questa laurea è equiparata a quella in fisica”.
Messa così, la mia scelta non è mai stata contestata dai miei genitori. La domanda: “... e poi che lavoro farai?” aveva già una risposta e il cerchio si chiudeva. Appena laureata, dopo pochi mesi di insegnamento nella provincia bolognese, sono scappata dalle scuole, rifugiandomi a Roma, all'Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario.

Col tempo ho analizzato quindi meglio il perchè della scelta dei miei studi, trovando una risposta risposta dalle varie sfaccettature che contempla anche un aspetto più intimo. Non ne avevo mai parlato con nessuno prima, temendo che agli occhi degli altri sarebbe apparso come un criterio troppo poco significativo per giustificare una decisione così importante.
Finché non è successo qualcosa che mi ha costretta a rivedere le mie conclusioni...

Qualche domenica fa, insieme a mia madre, mi sono trovata per caso ad una mostra fotografica molto bella, allestita da un gruppo di astrofili.
Anche il posto era particolarmente suggestivo: il castello Svevo di Termoli, che si affaccia proprio sul mare e da dove si vede San Salvo (il paese in provincia di Chieti dove sono nata). Sulla terrazza che corre tutto intorno alla torre erano stati allestiti dei telescopi.
Mentre osservavamo le foto ho scoperto, con un certo sconcerto, che mia madre non aveva mai alzato gli occhi in una qualsiasi notte estiva per osservare la strisciata chiara della via Lattea, né aveva mai poggiato l’occhio su un oculare di un telescopio (confesso: non ne possiedo uno, non l’ho mai chiesto in regalo per un compleanno…). Così l’ho immediatamente accompagnata sulla terrazza e, nell’ordine, abbiamo visto insieme la Luna, la nebulosa di Orione ed infine Saturno.
Mia madre è rimasta letteralmente folgorata da questa visione, come è successo anche a me la prima volta che ho osservato Saturno ed i suoi anelli con un telescopio (ero già al terzo anno dell’Università). Non so perché, ma vedere ‘in presa diretta’ gli anelli di Saturno focalizzati a pochi centimetri dal proprio naso suscita una grande emozione e quasi incredulità … come se il nostro cervello non accettasse che quel puntino brillante in cielo possa avere una dimensione propria, più estesa ed addirittura diversa dalla perfetta e ‘incorruttibile’ forma sferica…
Ultimata la visita, siamo tornate a casa. Abbiamo cenato insieme chiacchierando di varie cose, ma non facendo mai riferimento alla mostra.

E’ stato poco prima di andare a dormire che mi son dovuta ricredere sul perché avessi scelto questa professione. Prima di metterci a letto mia madre mi ha fatto un discorso molto contorto, cosa che mi ha subito colpito perché lei, insegnante di scuola elementare oramai in pensione, ha sempre espresso il suo pensiero in maniera schematica.
Non ricordo esattamente le sue parole, il concetto comunque era il seguente: se lei avesse avuto la possibilità di osservare il cielo quando era più giovane, avrebbe di certo fatto i miei stessi studi. E quindi inconsciamente (“molto inconsciamente” come lei stessa ha ammesso) è stata proprio lei ad influenzare la mia scelta.
Così finalmente aveva trovato la spiegazione del perché avessi intrapreso questa professione, cosa che non aveva mai pienamente compreso.

Il buffo è (ed è il motivo per cui quella sera ho riso davvero tanto!) che io ero giunta alla conclusione di aver intrapreso tali studi perché rappresentavo la cosa più distante da mia madre! Qualcosa in cui lei (che ha sempre così profondamente, sebbene involontariamente, condizionato gran parte della mia vita, scandendone i tempi e le priorità) non poteva di certo ‘mettere bocca’. Ed invece… guarda un po’… anche in quel caso non era stato così!
Non fraintendetemi: sebbene abbiamo un rapporto… uhmm, come dire? abbastanza ‘articolato’, oltre a nutrire per lei un amore profondo, l’ho sempre ammirata come donna.

Anche lei si è trovata in qualche modo, fra gli anni settanta e ottanta, in un certo contesto sociale e geografico, ad essere una ‘pioniera’. A quel tempo nel nostro centro-sud il termine ‘pari opportunità’ era totalmente sconosciuto, e nell’immaginario maschile esistevano solo le femministe o le casalinghe. Mia madre invece non ha mai smesso di lavorare, neanche quando a distanza di due anni l’uno dall’altro, le sono arrivati quattro figli.
Non esce quasi mai per la strada da sola, poiché la cosa non è contemplata dall’educazione severissima impartitale da mia nonna. Tuttavia a settant’anni, mia madre sa usare internet molto meglio di me! Naviga in maniera disinvolta per trovare le ricette di piatti a lei sconosciuti, per cercare le definizioni impossibili della settimana enigmistica, per leggere gli ultimi avvenimenti sul sito del nostro paese, per comunicare con i figli che hanno trovato il lavoro e l’amore oltre i confini italiani.

Francesca Altieri

martedì 19 maggio 2009

Astronomia: speriamo che sia "neutra" ...



Mi piaceva l'idea di iniziare con la citazione di un titolo di film di un noto attore mio conterraneo, Massimo Troisi, indimenticabile per la sua originale e intelligente ironia. Ma poi, confesso, sono rimasta
nell'imbarazzo tra: "Il postino", "Scusate il ritardo" e "Non ci resta che piangere", che mi parevano tutti piu' o meno azzeccati ...
soprattutto per le molte perplessita' e lo scarso entusiamo manifestati, piu' o meno apertamente, da molte colleghe chiamate a contribuire a quest'iniziativa.

Nel leggere le esperienze raccontate in precedenza su questo blog da varie colleghe - alcune delle quali appena all'inizio della loro carriera - ho puntualmente avuto l'impressione di ritrovare qualcosa anche della mia.
E' come se vi sia un filo conduttore che accomuna gran parte delle nostre storie personali al di la', ovviamente, di condizioni al contorno che possono essere state anche abbastanza diverse.
Ed e', probabilmente, innanzitutto il fatto di possedere una certa predisposizione per gli studi scientifici, molta curiosita' verso il mondo naturale e i suoi fenomeni, e spesso un certo spirito di avventura ma anche, non possiamo dimenticarlo, che ci sia stata data l'opportunita' di coltivare fin da tenera eta' la passione per lo studio, fino all'incontro, piu' o meno fortuito, piu' o meno precoce, con "la Madre di tutte le Scienze", che ci faceva scegliere il cammino che ci portava a fare dell'Astronomia la nostra professione.

Ma a questo punto mi pare lecito porsi la domanda: c'e' forse qualche differenza nel percorso seguito da un nostro collega maschio?
Io mi immagino che la risposta sia no. In ogni caso, a questo proposito, sarebbe interessante ed opportuno sentire la voce di qualcuno di "professione astronomo"...
Per questo motivo, ho particolarmente apprezzato e condivido appieno quanto affermato in precedenza da Paolo Esposito, il quale sottolineava come, quando si legge un articolo scientifico (come, aggiungerei, una proposta per ottenere tempo di osservazione o la presentazione di un progetto di ricerca), non solo non ci si accorge se l'autore sia uomo o donna, ma la cosa e' per noi del tutto irrilevante.

Ho sempre avuto la convinzione (o forse illusione?) che il nostro Paese, almeno nel nostro ambito, fosse abbastanza avanti rispetto a molti altri paesi circa la "questione femminile" e che, pittosto, il vero problema risiedesse altrove e riguardasse il fatto che le opportunita' di crescita culturale e di avvicinamento al mondo della scienza dipendono in larga misura dal contesto sociale in cui un individuo si forma, e oggi, in maniera sempre piu' pressante, dalle scarse (o per lo piu' scadenti) prospettive di inserimento nel mondo del lavoro che la societa' attuale sembra in grado di offrire ai giovani.

E dunque, il mio timore e che il "bias iniziale" di dedicare un blog esclusivamente all'"universo femminile" venga percepito da molte come un segno di discriminazione che probabilmente non incoraggia una larga partecipazione.
Per contro, rilevo come almeno in Spagna vi sia anche un blog dedicato a: "Los Diarios Cosmicos" El blog de los astronomos profesionales, che, se non altro, riequilibra un po' le cose....

Elvira Covino


lunedì 11 maggio 2009

Astronome e astronomi

Sono un po' perplesso: "Professione Astronoma" lo leggo come "astronome donne". Non vedo le astronome come una specie: che differenza c'e' nel fare astronomia come uomo o come donna? Io non riesco certo a distinguere un articolo scientifico scritto da una donna da uno scritto da un uomo!

Per questo mi stupisce che il tema piu' ricorrente siano i piccoli pregiudizi in cui le astronome si imbattono spesso in quanto donne. Temo che il rischio sia quello di non distinguersi da altri forum e luoghi d'incontro sul web, che raccolgono persone che condividono situazioni piu' o meno contingenti: la pagina della classe del '77, quella di chi porta lo stesso nome, di chi ha un gemello, etc. Niente di male, certo; e' divertente conoscere chi fa una vita in qualche modo parallela alla tua, scoprire fino a che punto si spingono le esperienze comuni e dove tutto cambia, e magari sfogarsi di piccole frustrazioni con chi le comprende. Ma la dichiarazione d'intenti che campeggia nelle pagine di Professione Astronoma mi sembra molto piu' ambiziosa!

Non fraintendetemi: ha assolutamente ragione Marta quando dice che alcuni piccoli incidenti sono il sintomo di qualche cosa di piu' serio. Di gravissimo, anzi: in Italia c'e' un'ignoranza vergognosa. E l'arretratezza culturale si traduce in arretratezza sociale. Le donne sono tra le prime a pagare le conseguenze di cio', ma il problema riguarda qualunque ambito in cui considerazioni soggettive, pregiudizi, ignoranza, superstizioni e religioni precludano a qualcuno di poter svolgere un lavoro o di vivere come crede o di fare determinate scelte personali, dove portino ad ingiustizie, insomma. Ma proprio perche' il problema e' serio, e' bene metterlo nelle giuste prospettive e chiarire che c'entra poco con la professione di astronoma.

Forse sbaglio, o e' perche' la mia esperienza e' molto limitata (lavoro in questo campo da nemmeno cinque anni e sono sempre rimasto nello stesso posto, in cui puo' darsi che le cose funzionino meglio che altrove), o e' perche' sono problemi che non vivo sulla mia pelle, ma a me non sembra che si discrimini la donna nella scienza. Credo che il problema sia di "sostenere" la donna e la famiglia in generale (dall'impiegata alla scienziata alla ballerina), ad esempio che diventi la prassi anche per i mariti stare a casa coi bimbi piccoli, e cose del genere. Oltretutto, proprio il nostro mondo e' uno di quelli in cui i pregiudizi culturali sono meno radicati ed in cui per una donna i problemi pratici si gestiscono piu' facilmente. Penso ad esempio a mia cognata, che sta avendo una gravidanza difficile. Se fosse al mio posto sarebbe piu' facile per lei continuare il lavoro, grazie ad orari flessibili, alla possibilita' di fare tante cose da casa o di assentarsi per una visita senza tante formalita'. Lo stesso sara' quando mio nipote crescera'. Naturalmente, anche per mio fratello, se facesse il mio stesso lavoro, sarebbe piu' semplice starle accanto.

Paolo Esposito

giovedì 7 maggio 2009

Non ho mai sognato Einstein (grazie al cielo).

"La giovane Marta sogna Eintein". Cosi' titolava un articoletto comparso sulla pagina 'Giovani e Scuola' de La Repubblica di un paio di anni fa. Un articolo in cui si parlava di scienza, della scoperta che avevo fatto qualche anno prima (la prima doppia pulsar, laboratoro eccezionale per testare la relativita' generale; immodesta n.d.r.) nel corso della mia tesi di dottorato. La giornalista mi aveva fatto domande pertinenti, sul mio lavoro in generale, sulla scoperta in particolare, condendo poi il tutto con un pizzico di aneddotica, ma ci stava. Niente in confronto a quello che accadeva 40 anni fa a Jocelyn Bell, scopritrice, assieme al suo tutore di dottorato Anthony Hewish, delle pulsar: durante un incontro sulle donne nella scienza tenutosi a Torino poco piu' di un anno fa, Jocelyn Bell raccontava come, mentre a Hewish i giornalisti facevano domande sulla scienza, a lei veniva chiesto se fosse fidanzata, che taglia di reggiseno portasse... A lui han poi dato il Nobel per la scoperta della sua studentessa, mentre lei non e' nemmeno stata menzionata (e qui potremmo aprire una lunga parentesi sui nobel negati alle donne nella scienza, ma magari ne parliamo un'altra volta). I tempi sono cambiati, il maschilismo palese di allora non c'e' piu' o quando c'e' viene unanimemente, almeno a parole, condannato e deprecato. Purtroppo pero' mi capita di accorgermi, in alcune piccole cose, magari di poco conto, di una sorta di maschilismo nascosto, magari inconsapevole. Se dico "la cuoca", ad esempio, ai piu' viene in mente la grassa signora che ti da' la mestolata di sbobba alla mensa universitaria, mentre se dico "il cuoco" evoco immagini dello chef Vizzani nel suo ristorante di lusso. Se devo titolare un articolo su una scoperta scientifica posso scrivere "La giovane Marta sogna Einstein" ma mai mi verrebbe in mente di scrivere "Il giovane Mario sogna Einstein", sarebbe poco serio, poco professionale, diamine! Sono cose di poco conto, o di nessuno, ma forse sono sintomo di qualcosa di piu' serio.

Marta Burgay

(nella foto: io e Jocelyn Bell back-to-back ["skin-to-skin", come diceva la fotografa poco anglofona :-) ] dopo l'incontro Donne e Scienza a Torino)

martedì 5 maggio 2009

Dopo saro' seria (?)

Lo so, lo so, s'era detto di dare un tono a questo blog, di cercare di stimolare discussioni su tematiche calde, serie e - giuro - dopo lo faccio... forse. Nel frattempo, rileggendo alcuni vecchi post, con racconti della vita notturna di astronome al telescopio ho pensato: "ehi, perche' non dare anche il punto di vista di una RADIO astronoma, noi si osserva di giorno!". ... o meglio, ANCHE di giorno. 24 ore su 24: la luce non ci disturba, non c'e' alba che tenga, niente che possa finalmente mettere fine a interminabili turni di osservazione. E cosi', quando, piu' o meno due volte l'anno, vado in Australia, al radio telescopio di Parkes, spesso mi trovo a puntare la sveglia alle 3 del mattino (mi devo sforzare per dire "le 3 del mattino" le 3 sono di NOTTE accidenti!); inforco la bici, un'assurda mountain bike col freno a retro-pedalata e ruote ridicolmente piccole, e percorro nel buio piu' assoluto il chilometro che separa la foresteria dal telescopio. Gia', perche' la luce non ci disturba, certo, ma anche noi dobbiamo stare in posti remoti, lontani dal mondo e dagli uomini e soprattutto dai loro infernali macchinari (automobili, cellulari, rasoi elettrici, forni a microonde, tosa pecore...) produttori di interferenze. E cosi' il cileo di Parkes e' buio, buio e indescrivibile. E qui potrei partire con slancio poetico a dirvi dell'emozione che si prova a vedere la Via Lattea, le Nubi di Magellano, Orione a testa in giu'... ma la vena poetica mi manca. Oggi (oggi?!) sono decisamente poco seria e niente poetica. Insomma, scansando ragni e serpenti dal morso letale, pecore e canguri, arrivo al telescopio. Quello di Parkes, come recita una delle innumerevoli tazze souvenir che mi sono comprata al centro visitatori, e' il piu' bel radio telescopio del mondo (ok, ok, opinabile) non foss'altro che per il fatto che la sala controllo ci sta dritta SOTTO: scegli la tua pulsar, il tuo ammasso globulare, la tua galassia preferita, inserisci le coordinate, pigi il pulsante "OBSERVE" e "gzzzzzzz" un bestione da 64 metri di diametro - il padellone, per gli amici - comincia a spostarsi, lento e pesante, sopra la tua testa: le pareti vibrano lievemente, il ronzio si fa piu' forte per poi scemare... d'accordo, capisco, non e' molto poetico un radiotelescopio che punta. Che vi dicevo: poetica, niente! Insomma: 4 del mattino, inizia il turno. A Parkes non c'e' nessun operatore. Sei solo tu col padellone (e il malefico "watch dog", l'allarme che si assicura che tu non ti addormenti, suonando a un volume indicibile ogni 15 minuti). Nessuno nel raggio di 20 chilometri, eccezion fatta per l'altro astronomo con cui condividi, a stento incrociandolo al cambio di turno, le tue giornate, i serpenti e i canguri. Recentemente abbiamo anche avuto l'invasione delle cavallette. Ma divago. Come sono arrivata alle cavallette? Volevo descrivere la giornata tipica della radioastronoma in trasferta e sono arrivata alle cavallette... be', forse e' meglio che chiuda qui, per ora. Del resto, l'avevo detto, saro' seria DOPO.

Marta Burgay